Una cosa è sicura: lo smart working è qui per restare. La transizione è ineluttabile e nessuno tornerà indietro. Non ho previsioni sull’andamento dei contagi e sui relativi DPCM. Ma abbiamo tutti scoperto i palesi vantaggi del telelavoro per le organizzazioni e spesso anche per i lavoratori.
Facciamo finta di essere in ufficio
Ma si tratta davvero di smart working? Secondo me no. Quello che la gran parte delle organizzazioni stanno adottando è semplicemente ‘tele working’. In pratica stanno semplicemente cercando di lavorare come si faceva prima pur tenendo le persone lontano dai luoghi di lavoro. Lo slogan è “Facciamo finta di essere in ufficio”.
L’‘occhio del padrone’ non funziona
Fare smart working significa invece cambiare radicalmente il modo in cui una azienda si organizza e ragiona. Nel modello tradizionale, soprattutto nelle piccole e medie realtà, il titolare o il manager aveva la sensazione di poter controllare ‘a vista’ il modo in cui i suoi collaboratori lavoravano (e se lavoravano).
Una delle tante mode aziendal-consulenziali degli anni ’90 era il ‘management by walking around’: per gestire i collaboratori era importante, dicevano i guru del momento, aggirarsi di continuo fra le loro scrivanie.
Ragionare per progetti
Ora questo non è più possibile. In un vero smart working diventano centrali i modelli di gestione e le modalità di controllo delle risorse. Il manager e il titolare letteralmente non ‘vede’ più i suoi collaboratori e non può più correggere ‘in corsa’ il loro operato. Bisogna quindi assegnare a ogni collaboratore uno o più progetti, ciascuno dei quali deve prevedere degli obiettivi, delle indicazioni chiare su come raggiungerli, dei tempi e dei criteri in base ai quali il progetto sarà valutato.
Per le piccole e medie imprese questa è una rivoluzione. Le grandi imprese e le organizzazioni più avanzate dovrebbero essere già abituate a ragionare in questo modo anche se a livello di team. In un certo senso si tratta di estendere a ciascun collaboratore le modalità che si utilizzano nel rapporto con i consulenti esterni.
Il canarino nella miniera: il rapporto con i consulenti esterni
Anzi un buon indicatore per sapere se ci si sta muovendo o meno nella direzione giusta il vero ‘canarino nella miniera’ è proprio questo. Se l’azienda si trova a suo agio con i suoi consulenti esterni: ottiene quello che si attendeva e nei tempi prestabiliti probabilmente il merito è anche suo, non solo del consulente. Se viceversa l’azienda è strutturalmente scontenta del loro lavoro, se – anche cambiando consulente – continua a riscontrare frequenti malintesi o disagio allora probabilmente il difetto… sta nel manico: l’azienda non riesce a far capire le proprie esigenze e i propri obiettivi.
La tecnologia è importante ma non quanto la maturità dell’azienda
La tecnologia è importantissima: per esempio occorre utilizzare software di collaborazione e non di semplice condivisione (ne avevamo parlato in un precedente post), così come digitalizzare tutti i documenti cartacei esistenti in azienda per renderli disponibili anche da remoto. Ma se l’azienda non è matura o se non lo sono i suoi dipendenti (quelli che fingono di lavorare solo quando passa il capo per capirsi) non c’è cloud o software che tenga: lo smart-working resterà un semplice succedaneo del lavoro in azienda.
Riccardo Montanaro CEO, e.tere@ srl